Ricorriamo alla ragione quando l’imprevedibile ci spaventa, quando le salite sono troppo faticose e le discese troppo ripide. Ma la ragione non può tutto e, in certi casi, può illuderci di poter stendere tutte le pieghe, ma è altro che ci servirà
“Ma che film la vita, tutta una sorpresa. Attore, spettatore, tra gioia e dolore, tra il buio e il colore”. Cantavano così i Nomadi un po’ di anni fa. Anche loro, come tanti, a cercare di rendere conto degli alti e dei bassi, delle salite e delle discese del vivere. Mi ha sempre affascinato il saliscendi, l’imprevedibilità del vivere, quel brivido di perdita di equilibrio che – se lo sai ascoltare – ti dà anche il solo camminare, mentre allunghi una gamba verso il vuoto davanti a te e sfrutti lo sbilanciamento come motore per andare avanti. Cose facili e cose difficili si potrebbe dire, salite e discese, appunto, fatiche da affrontare.
Ma è proprio qui, tra questi bianchi e neri, che vale la pena guardare. È lì che la ragione cerca di controllare e l’emozione, l’irrazionale che non fa tornare i conti ma che colora e scalda la nostra vita.
Tutti a chiedere aiuto alla ragione perché faccia luce e renda tutto controllabile, risolvibile, apparentemente più “facile”; non sempre però è così.
Non sempre. Il colpo da maestro della ragione arriva quando, in modo assolutamente disonesto e surrettizio – come un giocatore di poker esperto e poco trasparente, o come quel croupier navigato che sa come dirigerlo, il gioco – ci ha portato a confondere, nel linguaggio comune, complicato e complesso. Questi due concetti, molto diversi tra loro, ora sono divenuti di fatto quasi sinonimi e questo è il più importante trofeo della banalizzazione della ragione.
Per complicato si intende un problema, una situazione, un accadimento umano, pieno di difficoltà (pieghe) che rendono non raggiungibile in modo immediato la soluzione, che si ottiene generalmente proprio cercando di eliminare le pieghe (spiegare) in modo da arrivare ad una versione della cosa senza pieghe (simplex) che consenta di ottenere il risultato. Per complesso invece si intende qualcosa, un problema, una situazione, un accadimento che risulta come l’intreccio di più cose connesse ed interconnesse tra loro in modo così fitto e completo, insomma qualcosa di tessuto insieme (complex) come gli incroci di trama ed ordito.
Capite bene che qui non è possibile ridurre il numero dei fili, si rischia di fare come con quel maglione al quale abbiamo voluto tirare il filo rimasto scoperto, rovinandolo irrimediabilmente.
Che roba eh! Camicie da stirare e maglioni con i fili penzolanti! Da un lato un lavoro preciso, paziente, esatto e dal risultato certo, dall’altro invece un lavoro di rammendo, di riconnessione, paziente ed allo stesso tempo incerto, fragile… provvisorio.
A me pare che a conti fatti i problemi della vita, anche quelli che affrontiamo nei percorsi di aiuto, contengano dapprima una certa dose di camicie da stirare, dando a molti di noi (forse a tutti) l’illusione di aver trovato una via d’uscita, la carta che prende tutto. Un ferro da stiro però è pur sempre un ferro da stiro e prima o poi, dopo che pazientemente abbiamo rimosso tutte le pieghe cominciamo a fare i conti con i fili che penzolano; magari dapprima cerchiamo di stirarli, tanto per abitudine e tracotanza ma poi ci arrendiamo, inforchiamo gli occhiali, tiriamo fuori ago ed uncinetto e cominciamo a riparare là dove si può, a legare là dove si deve e a nascondere dove non ci si arriva.
già pubblicato su @fuoritestata.it