Quando ho scoperto la lentezza ho ripreso a camminare al mio passo

Un fotomontaggio: sullo sfondo c'è un incrocio di strade a Tokyo, ritratto dall'alto, con tante persone che camminano veloci, soprattutto sulle strisce pedonali ma anche, alcune, fuori dalle stesse. A causa della lunga esposizione, sono molto mosse e questo dà il senso del loro spostarsi veloci. In basso a destra nell'inquadratura c'è una grossa lumaca beige di profilo, col guscio a sinistra, di un marrone più scuro e striato a strisce beige, e le lunghe antenne ritte in testa a destra. La lumaca sembra osservare dall'alto la ressa molto movimentata e veloce giù, sulla strada.

Un elogio della lentezza, che permette di entrare nelle cose, di farne esperienza piena, di scoprire la dignità e la bellezza di trovare noi stessi, di scoprire che in fondo andiamo bene così come siamo, inseguendo il modello che vediamo lentamente crescere in noi

«Sbrigati! Non farti sempre aspettare!», «Sei lento, datti una mossa!». La mia infanzia è stata costellata da questo tipo di “inviti”, che sono diventati col tempo una specie di mantra e che, pian piano, come spesso accade con le cose di quando siamo piccoli, entrano dentro di noi in profondità, fino a farci sentire diversi, fino a convincerci che abbiamo qualcosa che non va.

Durante le ore di ginnastica (ai miei tempi le scienze motorie si chiamavano così), il professore ripeteva che sarebbe stato meglio se io mi fossi impegnato in altre cose, se mi fossi dedicato ad attività in cui non ci volevano velocità, abilità fisica, ecc. E qui comincia un primo problema: che fare? Cercare di essere veloce come gli altri o accontentarsi di come si è? Debbo dire che dopo una prima fase in cui inutilmente cercavo di imitare i compagni più bravi, accadde che cominciai gli studi musicali e improvvisamente mi trovai di fronte a un cambiamento di regole copernicano: ripetizione e lentezza erano le basi degli studi musicali: un brano prima lo si studia lento e poi, piano piano, si cerca di velocizzarlo sempre di più, fino a portarlo alla velocità richiesta.

Rallentare è davvero una esperienza interessante, come a guardare le cose sempre più da vicino. La lentezza è una vera e propria lente di ingrandimento, nella lentezza sperimentiamo di più, incarniamo le parole e i pensieri che diventano solidi, concreti, reali.

Il tempo passato da quel dì in cui scoprii la lentezza è stato galantuomo, come si suol dire. In seguito ho praticato per diversi anni il Tai chi chuan, arte marziale della lentezza per antonomasia, mi sono appassionato alla cura dei bonsai, che richiede la pazienza e la perizia di far crescere alberi in vaso, osservare le radici che crescono, le foglie che cadono, i fiori che sbocciano, di inseguire pazientemente le stagioni.

In seguito mi sono trovato un mestiere in cui la lentezza non solo è contemplata ma è la virtù più apprezzata, e ora mi trovo a indossare vesti più comode, nelle quali mi sento finalmente me stesso, mi trovo a invitare le persone che cerco di aiutare ad apprezzare la lentezza che ti permette di entrare nelle cose, di farne esperienza piena, di scoprire la dignità e la bellezza di trovare noi stessi, di scoprire che in fondo andiamo bene così come siamo, inseguendo il modello che vediamo lentamente crescere in noi e non inseguendo spasmodicamente gli esempi di fuori.

Già, alla fine dei conti la lentezza ci permette di andare dentro le cose e dentro noi stessi in un viaggio di scoperta che non ci deluderà di sicuro.

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