La clessidra e quello che la sabbia ci insegna

Con la sabbia che man mano passa da una camera all’altra, con uno spazio che si svuota e uno che si riempie, la clessidra fa da metafora alla nostra vita. E se la prendessimo ad esempio, forse, potremmo anche correggere il tiro

Clessidra, uno di quegli oggetti a me più cari, che mi ha sempre trasmesso la magia del tempo, del suo trascorrere. Anni fa, al supermercato, ne trovai una che mi sembrò essere inviata direttamente dal cosmo… durava la bellezza di 45 minuti, nel mio mestiere una cifra netta, la durata di una seduta. Da allora, dunque, girare la clessidra per dare inizio a una consultazione è diventato un vero e proprio rituale, al punto che a volte sono gli stessi miei clienti che me lo ricordano, i più arditi la girano proprio loro per sentirsi autorizzati ad aprire le porte del loro cuore. 

Durante le sedute, con lo sguardo laterale, la osservo ed è interessantissimo a volte confrontare ciò che vedo con ciò che invece il mio tempo interno mi porta a sentire. Utilizzando la percezione interna del tempo come guida sembra dunque che la sabbia nella clessidra scenda a velocità variabili… a volte ti giri ed è già scesa tutta, altre volte sembra non scendere mai, sadicamente sembra di rallentare e io ne sento il peso.

Tornando all’oggetto, che poi in origine conteneva acqua (cleps-idra), mi affascina profondamente guardare la sabbia che lentamente ma inesorabilmente passa da una camera a quell’altra, se si sta in silenzio e attenti se ne percepisce addirittura il rumore, molto più affascinante del meccanico tic-tac dell’orologio e trovo davvero ipnotizzante osservare il lento formarsi del piccolo cumulo nella camera inferiore.

Penso che – decisamente – rappresenti una metafora della nostra vita: se da un lato perdiamo continuamente granelli di vita, di energia, di potenza, più avanti di velocità, di precisione, dall’altra nella camera inferiore, invece, il deposito aumenta, diventa sempre più consistente, solido, coerente. 

In questo scorcio di inizio secolo in cui vecchiaia è diventato sinonimo di incapacità, di una inattualità da rottamare, in un mondo che rincorre ossessivamente l’ultima release di ogni cosa che ovviamente si sovrappone e sostituisce la vecchia versione, di fatto polverizzandola e facendola sparire, non abbiamo più la percezione della camera sottostante in cui si raccoglie la sabbia della clessidra; imprigionati in un permanente presente rischiamo di perdere a conti fatti il contenitore dell’esperienza. 

Mi piacerebbe sostituire la parola vecchiaia – che tende a suonare ormai come un insulto – con la parola “serbatoio di esperienza”, così facendo invertiremmo la prospettiva: avremmo i giovani (serbatoio piccolo) e i vecchi (quelli con grande serbatoio), ridando di fatto valore e dignità a tutta quella sabbia che è passata attraverso il vertice in cui si incontrano le due camere della clessidra. Non solo, prendendo atto dell’inarrestabilità del flusso di sabbia smetteremmo forse di fare quelli che non prendono atto del tempo che passa; che bello sarebbe!

Che bello sarebbe se invece di competere sui piani più disparati con l’unico obiettivo di affermare noi stessi ci confrontassimo con i nostri serbatoi! Si svuoterebbero le palestre e si riempirebbero le biblioteche, si tornerebbe ad ascoltare anziché a cercare di gridare sempre più forte e così, sommessamente e senza neanche troppa fatica si farebbe progressivamente esperienza della indifferibile necessità di riadattare gli sforzi, il vigore, gli appetiti. In fondo, forse, si arriverebbe tutti meglio preparati al momento in cui la sabbia sta per finire, consapevoli ovviamente che in questo caso la clessidra non si può capovolgere.  

Già pubblicato su @fuoritestata.it

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