In ognuna ho ritrovato qualcosa di me: tre donne e il pregiudizio

Camille Claudel, Emmy Noether e Sylvia Plath, tre donne pazze, eccentriche e geniali nelle pagine dell’AlmaMatto

Camille Claudel, la scultrice a cui viene riconosciuto il genio, ma a cui non spetta il successo. L’amante di, la sorella di. A 49 anni, sua madre la fa internare dopo averla sempre ostacolata, soprattutto a causa del suo amore per l’arte. Morirà trent’anni dopo in manicomio, violata, sola, privata di ogni libertà e agio, come lei stessa denuncerà nelle sue lettere. Se ha una colpa, pensa Camille, è di aver voluto vivere come desiderava.

Emmy Noether, niente meno che la madre dell’algebra, deve assistere alle lezioni universitarie senza fiatare (leggi, da uditrice), perché le istituzioni non possono subire l’invasione da parte delle donne: è in gioco la morale della società! E se con tenacia e pazienza – infinita pazienza – la Professoressa Noether arriva ad insegnare in una delle più illustri università della Germania, è bene che lo faccia a titolo gratuito: insomma, le si concede un favore. Einstein, dopo la sua morte, si indignerà: solo un trafiletto sulle pagine del New York Times per questo genio della matematica?

Sylvia Plath, la poetessa americana, che si rimette nelle mani degli uomini – prima il padre, poi il marito – e che rivolge a se stessa ed al proprio lavoro una critica acerrima, alla ricerca di una perfezione, che sarà per lei foriera di morte. Sola, e due volte abbandonata, tenterà il suicidio in due occasioni, riuscendoci all’età di 32 anni.

Tre donne pazze, eccentriche, geniali, e la loro solitudine, che ha il sapore di abbandono, di esclusione, di pregiudizio. Ecco, in primo luogo di pregiudizio: una forma di aggressività, per dirla con Freud, che isola, paralizza, mette da parte, non consentendo la piena espansione di sé.

Mi rendo conto che ho scelto le donne, per rispondere alla domanda che ci siamo fatti in redazione: “In quale personaggio di AlmaMatto ti riconosci?”. Ho scritto diverse tra le biografie presenti nel volume e certamente il pregiudizio è presente nella storia di molti, eppure le donne…

Una cosa soprattutto mi dà da pensare: la narrazione della follia o della stravaganza femminile è differente da quella riferita al genere maschile. Il dolore e la sofferenza sono elementi comuni, ma nelle biografie al femminile prevale un non so che di colpevole; si intensificano gli aspetti morbosi; emerge sovente una certa disattenzione, che sconfina nell’oblio, soprattutto nei confronti della “produzione”, artistica o scientifica che sia.

Difficile non riconoscersi in queste donne. Spogliate di ogni cosa come Camille, tollerate con impazienza come Emmy, prive di una piena e sana fiducia in sé come Sylvia: non c’è che dire, la ferita si sente. E ancora duole.

già pubblicato su @fuoritestata

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