In pericolo c’è la salute non la socialità: perciò chiamiamolo distanziamento sanitario
“Mastica e sputa, da una parte il miele… Mastica e sputa, dall’altra la cera”…
Faber sempre il nostro Faber poeta e come direbbe Heidegger “guardiano della casa dell’essere”, che sembra indicarci la via, sembra tracciare con mano ferma e sobria la strategia di sopravvivenza per vivere.
Separare l’essere dal non essere, il grano dal loglio, il male dal bene.
Tutta la nostra vita, sia quella del corpo sia quella della mente, è segnata da questa che possiamo riassumere come una funzione essenzialmente digestiva: assumiamo tutto intero ciò che il mondo ci propone e poi tratteniamo solo ciò che ci fa bene, rifiutando, sputando ciò che invece è tossico o ancor di più velenoso.
La legge dello spirito non è scevra da questa logica, anche il nostro cervello in qualche modo digerisce, ovvero dopo aver assimilato e processato a volte in modo indiscriminato, decide cosa trattenere e utilizzare e cosa invece dimenticare, obliare.
Allora ecco l’importanza del cosiddetto piano b, ovvero di una dimensione parallela nella quale possiamo immaginare che le cose possano anche andare in un modo diverso, che ci sia un altrove nel quale finalmente ciascuno possa essere al riparo dai pensieri tossici, dalle idee di morte e da tutto ciò che pensiamo debba essere gettato fuori e oltre noi.
Poi succede una cosa… poi la peggiore delle paure diventa reale e l’altrove sembra essere evaporato… è quel prefisso pan, quel maledetto riferimento al Dio del Tutto (della natura), è questa la fregatura.
Pandemia vuol dire che non c’è un luogo sicuro, che siamo assolutamente tutti esposti al pericolo allora via tutti nella tana chiusi a chiave… lo abbiamo chiamato mondo on demand, smart working, spesa online… e per tre-quattro mesi ci siamo isolati, come murene tra gli scogli ci siamo nascosti e abbiamo vissuto di relazioni a 2 dimensioni, scambiando la velocità dei dati per la vicinanza.
Poi siamo usciti dalla tana, come tanti animaletti spaventati e stiamo praticando il distanziamento sociale, ovvero la rinuncia volontaria e sistematica al contatto e alla vicinanza per evitare il ritorno della bestia.
Io da umile parolaio rifletto sui termini da tutta la vita e mi chiedo
perché lo chiamiamo distanziamento sociale e non distanziamento di salute, sanitario?
In pericolo c’è la salute e non la socialità, nessuno ci dice che essere in contatto sociale sia di per sé pericoloso, ciò che dobbiamo fare è stare un po’ più lontani, non ritirarci in un mondo in cui ci siamo solo noi, in cui non c’è un altro e un altrove.
Nel ridare peso e forza alla socialità e nel cercare di non correre rischi per la salute noi riconquistiamo quel mondo fatto di dentro e fuori, di sociale e personale, di piano a e piano b e ci teniamo sicuramente lontano dalle peggiori tentazioni.
Molte cose che il post lockdown ci sta portando, siano essi fatti clinici o di cronaca, situazioni patologiche o normali, testimoniano in ogni caso la presenza di persone costrette a fare i conti con un mondo che è diventato improvvisamente senza il fuori, in cui non c’è più il “mastica e sputa” ma solo l’ingoia. Si ingoia tutto, notizie, statistiche, regole buone e regole meno buone, ottime pratiche e vecchi riti esoterici…
La disperazione sale e non c’è più un meccanismo di decompressione, si vive come tanti prigionieri che camminano sull’asse di pirati, e i centimetri si assottigliano sempre di più…
A mio modo di vedere l’unica possibilità che abbiamo è quella di tornare a frequentarci e contaminarci di vita, sperando che l’assenza del distanziamento sociale non comprometta troppo il distanziamento sanitario, tornando di fatto a rimettere sullo stesso piano i fatti della psiche con quelli della persona fisica, immaginando finalmente che nella parola salute non ci sia un ordine di priorità tra fisico e mentale.