L’invito è quello di distruggere le nostre regole per fermarci a contemplare la vita e tornare a stupirci
Vi capita mai di sentirvi come criceti nella ruota?
Alla ricerca del vostro star bene, della serenità e di qualche certezza in un mondo che, continuamente, destabilizza.
Forse, tutto nasce da qualcosa che abbiamo scordato di saper fare: meravigliarci.
Ho mangiato me stesso per tornare a meravigliarmi.
Questo il messaggio forte e chiaro di un ex detenuto del carcere minorile di Nisida che nel podcast “I ragazzi di Nisida”, curato da Il Sole 24 Ore, racconta il suo ritorno a Scampia in occasione della demolizione di quella Vela Verde che, durante infanzia e giovinezza, è stata il suo luogo di vita (e di morte). Un ritorno a casa che, per lui, è ritorno allo stupore.
La meraviglia è la culla nella quale tutti nasciamo. Tutti.
Privi di cassetti, armadi e barattoli in cui depositare ordinatamente i nostri pensieri ed emozioni, siamo capaci di stare davanti alle cose senza chiederci perché o che siano diverse, semplicemente osservando con occhi ingenui e cuore spalancato. Siamo capaci di stare senza aspettare. Di stare e raccogliere ciò che accade.
Succede quando, da bambini, ci sdraiamo a pancia in su sotto ad un faggio che, maestoso, prende per mano la brezza estiva e fa vibrare le sue mille foglie verdi; quando gli occhi della mamma sono mosaici dalle infinite pietruzze, tutte diverse, tutte da contemplare; quando stare nascosti nella capanna in giardino elettrizza i muscoli e accelera il respiro.
E poi? Di colpo sparisce. Addio meraviglia.
Spinti dall’atavico bisogno di sicurezza, riempiamo freneticamente i vuoti delle nostre giornate con aspettative, programmi, teorie scientifiche, convinzioni, giuramenti, costrizioni, fede.
Rincorriamo il “vero”, il “giusto”, il “bene” come si fa con la codina sulla giostra del Luna-park: peccato che questi, il più delle volte, ci sfuggano dalle mani ad ogni tentato acchiappo.
Concitati in queste sfide senza fine, ci ritroviamo perennemente in bilico, tutt’altro che sicuri, in cerca di un benessere che sguscia via.
Ci siamo scordati come ci sentivamo sotto a quel faggio? A pochi centimetri da quegli occhi o sotto la capanna?
Ci sentivamo bene, in pace, e, sì, ci sentivamo al sicuro.
Ma qual era l’unica certezza che appagava il bisogno di sicurezza?
Sapevamo di essere capaci di meravigliarci.
Un ampio studio del 2012 dimostra che accedere allo stupore aumenta la percezione di benessere personale: chi si meraviglia, infatti, ha una percezione dilatata del tempo, si sente più connesso agli altri, al mondo, sopporta maggiormente gli scossoni che la vita impone.
E allora: come tornare alla meraviglia?
Dice il nostro ragazzo di Nisida commentando la demolizione delle Vele di Scampia:
Resto incantato a guardare il vai e vieni della bocca metallica e non mi sembra una scena di distruzione. Ad ogni morso mi sento più leggero: gnam via la paura, gnam via la vendetta, gnam via la furia. Il braccio di acciaio sta facendo a questo edificio quello che Nisida ha fatto a me: otto anni, ogni giorno un morso, ogni giorno qualcosa in meno di me; otto anni per distruggere la vecchia costruzione e fare spazio ad un progetto nuovo.
L’invito è quello di distruggere le nostre costruzioni, le nostre regole, le nostre fissità, tornando a contemplare il fenomeno che accade, le foglie del faggio insomma; e, così, tornare a stupirci: non solo del mondo, ma anche delle nostre possibilità nel mondo.
già pubblicato su @fuoritestata.it