“Suo figlio è veramente bravo non c’è che dire…. ma il mio è più bravo del suo!”
Chi non ricorda lo scatch di Aldo Giovanni e Giacomo che caricaturavano le loro madri! D’altra parte si sa, i figli da sempre come ci direbbe Gibran sono i dardi scoccati nel futuro ed allora non c’è proprio nulla di male se nello scoccarli noi genitori ci auguriamo che possano andare un po’ più lontano.
Se penso alla mia generazione ad esempio, io sono uno di quelli che hanno avuto la possibilità di studiare pur non essendo figlio di dottori o professori e quindi, almeno in questo ho potuto riscattare e risarcire moralmente i miei genitori che non certo per mancanza di ingegno o di intelletto non hanno avuto accesso alla cultura, almeno a quella accademica.
Osservando invece quello che succede ai miei coetanei ed al rapporto con i figli, o meglio a quelli che hanno figli adolescenti o poco più, che li spingono sempre avanti verso l’eccellenza, che li sognano numeri uno…. ecco osservando questa tendenza spesso mi smarrisco e rimango preoccupato. Quando poi cerco di incrociare questi dati fenomenici con le storie dei giovani uomini e delle giovani donne che seguo nel mio lavoro allora la preoccupazione si fa viva e nascono in me alcune domande.
Ma prima cerchiamo di capire il fenomeno:
il sentimento prevalente di questi giovani, almeno nell’immediato vissuto soggettivo è duplice, da un lato si sentono attori e non registi della propria vita è dall’altro si sentono falliti.
Belli, in salute, ben vestiti, ben accoppiati…. e falliti, sconfitti, espropriati.
La mancanza di proprietà dei propri atti di vita penso sia una delle peggiori paure, direttamente antecedente alla perdita di senso delle cose che poi porta verso il distacco, l’anedonismo, la depressione.
Allora con loro spesso mi chiedo, ci chiediamo, da dove arriva tutto questo? Perché attori? Perché falliti?
Senza neanche grattare poi tanto raccontano vite spesso totalmente invase dalle aspettative dei genitori, dai loro sogni spesso rimasti chiusi a chiave nel cassetto.
“Dottore io so di chi sono figlia, di chi sono moglie, di chi sono madre…. ma non so chi sono io”; spesso questa frase l’ho sentita declinare in tutte le forme pur esprimendo lo stesso concetto, non so chi sono.
Non sapere chi si è risponde almeno in parte alla prima domanda, non sono riuscito a diventare regista; certo tutti cominciamo col fare gli attori ma prima o poi tradiamo il copione e nel tradimento ci impossessiamo della nostra via… forse qualcosa qui è andato storto.
Un’altra situazione invece riguarda la spinta verso l’eccellenza: “al ginnasio ero il primo della classe, poi sono diventato il secondo o forse il terzo, ora… non lo so più!”
Ecco in parte la risposta alla seconda questione, essere bravo non basta, intelligente, bello, sociale, sportivo…. non basta, occorre essere il più…., il più di qualsiasi cosa ma il più…
Di nuovo una strana classifica in cui c’è un podio ad un posto solo, il numero uno o l’oblio, il numero uno o la massa informe ed anonima…
Come uscire da tutto ciò! Come cercare di aiutare le giovani donne ed i giovani uomini a trovare un senso ed un centro per la propria esistenza!
Premettendo che per ora, avendo un figlio piccolo, mi accontento solamente di combattere battaglie di basso profilo (imparare a cadere, a contenere il dolore, ad esprimere la rabbia…) proporrei e nemmeno in modo poi non tanto provocatorio, ai genitori contemporanei di ripensare ai propri fallimenti, di non nasconderli nella narrazione di loro ai figli ma di fare come la pratica del kintsugi, ovvero di valorizzare le crepe con l’oro, di mettere in evidenza le difficoltà, le fatiche… forse così facendo ci si renderà conto che ai nostri figli si possa augurare di cuore di trovare il proprio posto in quella serie infinita di posizioni che il mondo della vita ci consegna ogni giorno.
Dunque ai propri figli potremmo dire ironicamente: “al più possa tu arrivare quarto!”
Senza tutti quegli obblighi di perfezione, pulizia, coerenza che a conti fatti hanno più l’odore della formaldeide che della carne umana.
Qui il discorso si fa complesso e ci vorrebbe una serata intera per scrivere . Questa generazione di giovani è un vero disastro! È mancata loro completamente la buona educazione, intesa sia in senso” estetico relazionale” sia in senso più profondo formativo, esistenziale. In carcere stiamo cominciando ad occuparci di questi giovani che esprimono un gravissimo disagio esistenziale( violenti ,insensibili, tutti affetti da disturbo di personalita’ aumentato dal disagio carcerario) . Sono tanti, sempre di più, ingestibili, stranieri ( incappati in un totale fallimento migratorio), italiani ( usciti fuori da genitori disturbati , abbandonici , inesistenti e altro ). A parte il fatto che la psichiatria italiana è notoriamente una psichiatria che a differenza di altri paesi europei si occupa esclusivamente del disturbo psichiatrico in senso stretto ( salvo la fase di prescrizione medica farmacologia che comunque è assolta anche dai medici generali) e sarebbe ora che allargasse un po ‘ il suo orizzonte( ma forse con tanti psicologi che abbiamo ci può stare questa cosa , altrimenti che lavoro dare agli spicologi che si sono preparati ben nove anni e più? ), a parte questo fatto, a mio avviso deprecabile, il punto è che ci troviamo con un immenso problema, immenso come quantità e come qualità e non so capisce bene ancora ,qui, quali satebbero gli specialisti esperti e anche se esiste cura e guarigiine! Io personalmente sono certa che ci vorrebbe più filosofia nella vita dei giovani e delle persone, ma, comunque mi sono persuasa del fatto che questi giovani sono i figli di quelle ” nuove madri” di cui ,giusto una ventina di anni fa ,parlava e scriverà il professor Pietropolli Charmet. Giovani che non sopportano frustrazioni, dinieghi, tempi lunghi , procrastinare, sforzarsi un po’ , che voglio tutto e subito , che vivono di apparenza, di avere e non di essere…… vuoti….. sono i figli perfetti delle madri descritte dal noto psichiatra venti anni fa : madri per lo più di figli unici, o comunque figli che dentro casa comandano, decidono per i genitori e dettano legge, figli per i quali si fa di tutto , che non si gestiscono con autorevolezza e sicurezza e ai quali si danno troppe vinte. Figli che devono essere impegnati tutto il giorno e circondati da amici in continuazione, che debono essere i piu belli e i piu bravi , un po’ dei piccoli adulti nanerottoli. Che non conoscono un angoletto per giocare da soli anzi non possono stare mai da soli ….ma sempre con altri a fare qualcosa, a feste e ritrovo, gite e quant’altro ; accontentati in tutto e per tutto e al centro dell’ attenzione di tutti. Figli educati / trattati così da madri della medio alta borghesia, quanto della bassa borghesia.
Ecco mi è venuto alla mente questo collegamento tra queste madri …..e quedti giovani di oggi. Oggi il mio superiore , responsabile delle carceri della Regione ( al quale il presidente dell’Albo degli psicologi avrebbe confessato di sospettare si tratti di un problema generazionale), ha buttato lì l’intenzione di formare un gruppo di lavoro…. perché noi ,almeno ( noi in carcere) , dobbiamo trovare qualche soluzione …assolutamente ! Io ho dato la mia candidatura a far parte di questo gruppo ! Penso che si tratti di una opportunità di studio decisamente interessante e pertinente, per un consulente filosofico quale ….. credo e spero di essere .