Cineforum on line tra amici ai tempi del Covid. Gli amici sono quelli del Pozzo, un circolo di persone che fanno mestieri diversi e non si stancano di alimentare la cisterna delle idee. Alessandro e Giovanni, i cinefili del gruppo, hanno selezionato la pellicola: Lars e una ragazza tutta sua, lavoro datato 2007 con la regia di Craig Gillespie. Scelta sapiente per osservare il farsi della Cura nei territori scivolosi del disagio psichico. Ecco perché parliamo del film a distanza di diversi anni dalla sua uscita.
La fragilità del protagonista è in primo piano. Lars (un insolitamente goffo Ryan Gosling), che ha perso la madre nascendo, accumula strati di vestiti per isolare il corpo dal contatto fisico, al quale si sottrae con educata pervicacia, perché “fa male come un’ustione”. Allo stesso tempo, affamato d’affetto e bisognoso di aiuto, Lars inventa una realtà parallela in cui si permette di sperimentare l’amore. Lo fa con una bambola, progettata per essere il corrispettivo erotico di perversioni socialmente più accettate rispetto al disturbo mentale. E così “Bianca”, manichino perfetto che Lars sistema su una sedia a rotelle, diventa da un lato la proiezione delle parti sofferenti e inermi di lui, dall’altro la donna con cui fare famiglia e iniziarsi alla maturità.
Fin qui, ci sono tutti gli elementi della deriva interiore: un trauma precoce, un disturbo dispercettivo, la costruzione delirante a schermare un dolore altrimenti intollerabile, gli oggetti transizionali che mediano un rapporto difficile da gestire nel circuito di realtà. Quello che però colpisce nella storia è il percorso terapeutico lungo il quale si incammina Lars. E ci tocca soprattutto oggi, nell’epoca del distanziamento, perché disegna la rotta della guarigione come un racconto corale.
Nella cittadina che fa da cornice alla vicenda di Lars, tutti – sulle prime straniati – si alleano tra loro e per lui. Dal prete alla parrucchiera, dalla fioraia al vecchio burbero, i singoli prendono metaforicamente per mano “la strana coppia” e sostengono l’artificio mentale che il giovane ha edificato per sopravvivere. Gli lasciano la regia, ma si concedono improvvisazioni e fuori programma. Lo assecondano, senza rinunciare a libere iniziative, sempre all’interno del registro solo apparentemente illogico di Lars. Finché è Lars stesso a decidere che è il momento di congedarsi dalla bambola per rischiare l’approccio a una donna vera (quella real girl che compare nel titolo originale del film).
Una favola? Forse. A noi piace però vedere in controluce almeno tre pietre miliari della traiettoria di cura.
La prima è la relazione. La dottoressa che prende in carico Lars sceglie di comunicare con lui su un piano paritario. Mentre esplora il suo mondo, non si limita a compilare la cartella con i dati di anamnesi. Risponde alle domande, incontra il dolore del paziente smascherando il proprio, si avvicina per gradi e si lascia avvicinare, anche in momenti – come quello del pasto – che sollevano il velo dell’intimità oltre il dettato professionale. L’atto terapeutico, lo sappiamo, prima di appoggiarsi a tecniche o farmaci, germina da un rapporto tra esseri umani.
Il secondo ingrediente che cura è la miscela di serietà e ironia con cui tanti nel film si confrontano con Lars. La sua “invenzione” è accettata per vera. Non c’è scherno, né ombra di sufficienza nei discorsi e nei gesti di chi si accosta a lui. Lars viene preso sul serio. Ed è questo che gli consente tanto di mantenere la dignità mentre regge una finzione per lui salvifica, quanto di fare i conti con la propria parte adulta. Allo stesso tempo, la leggerezza dei toni in diversi episodi sdrammatizza e apre vie di fuga alternative. L’umorismo è un altro agente di cambiamento.
Infine, la terza pietra miliare della cura ci riporta alla lezione di Basaglia: non chiudiamo fuori la follia, perché frammenti di quel mondo altro dormono dentro di noi. Ed è gustosissima la scena in cui un’anziana signora smonta l’iniziale ostilità verso Lars di un paio di concittadini, citando all’uno la cleptomania della moglie e all’altro la stravaganza del nipote, che cuce abiti per i gatti.
Relazione, mix di ironia e serietà, legittimazione della differenza sono tre nodi del filo d’argento che consente a Lars di risalire l’abisso del disagio e a chi lo accompagna di uscire dalla propria solitudine, come accenna il filmato che abbiamo scelto per darvi un assaggio del film. A questo filo forse possiamo aggrapparci anche noi quando operiamo nell’aiuto, ma anche quando soffriamo e ci sentiamo in esilio.
Grazie ad Alessandro e a tutti gli amici del Pozzo per averci ricordato una volta di più tramite questo movie che il mondo è una grande casa da abitare insieme. Una dimora ereditata senza merito e dove ci si deve adoperare perché le stanze migliori possano essere condivise con il viandante, con chi la sorte parrebbe aver confinato nelle periferie remote della terra.
Vien proprio voglia di vedere questo film, grazie!
Sono io a ringraziare per l’attenzione!
Per noi vale almeno una visione: è un film delicato e potente.