Ci sono situazioni in cui vogliamo mostrare a tutti i costi quanto siamo dalla parte del giusto, quanto ci indigniamo, quanto il nostro pensiero sia “superiore”. Ma se questo servisse più a nutrire il nostro narcisismo che alla causa?
L’estate, si sa, è il periodo dei tormentoni. Ai miei tempi c’erano quelli dei Righeira, poi ne sono arrivati molti, molti altri, non solo nel campo musicale, ovviamente. Forse sarà il terrore del vuoto che assale ciascuno di noi quando finalmente arriva il meritato riposo estivo, ma tendiamo a rimanere agganciati giornate intere a questo o a quel tema.
I cani che mordono i bambini, le star che si lasciano e si prendono, i colori dei nuovi dress code… il tutto forma una tempesta perfetta fatta di argomenti, storie e narrazioni le più disparate tra loro, che però assolvono allo scopo di riuscire a riempire le giornate e continuare a “rincorrere il vento”, come ci direbbe Qoelet. Tra questi “sport non agonistici”, però, ce n’è uno che non mi piace in modo particolare e che di fatto presenta un certo grado di rischio: la polemica culturale. Ovvero, la reazione piccata che spesso molti di noi “intelligentoni”, persone che un po’ per storia e un po’ per mestiere rappresentano la funzione pensante, oppongono quando emergono comportamenti assolutamente irricevibili e appartenenti a situazioni che hanno ben poco a che fare con il mondo educato e gentile che cerchiamo faticosamente di costruire.
Quello che non sopporto è vedere che tutti ci si coagula per dare contro a questa o a quella situazione, con un atteggiamento “virginale” che mi lascia attonito. Così, come bambini che credono ancora a Babbo Natale, ci sorprendiamo che ci sia l’omofobia, che ci sia la prevaricazione, che ci siano persone “benpensanti” a cui, tutto sommato, dà fastidio che ci siano modi di vivere variegati e non sempre in linea con gli “antichi valori”. Voglio essere molto chiaro sul punto: io non ho personalmente nessuna simpatia per tutto quello che limita l’espressione, la ricerca di un modo di vivere più felice, meno faticoso.
Ravvedo però nell’atteggiamento scandalistico che molti di noi hanno qualcosa che a me sembra altrettanto distruttivo: il narcisismo della critica, quel piacere sottile di chi va contro, di chi si oppone.
Per sapere che abbiamo una faccia non sempre occorre mettere la testa fuori dal finestrino, basta averne consapevolezza, basta continuare a praticare l’arte di chi semina anziché diventare demolitori.
Che un generale dei paracadutisti, per esempio, dopo una vita passata rinchiuso in caserma (poco importa che si viaggi se ci si porta dietro il guscio come le tartarughe), dopo una tradizione fascista di lunghissima data, dopo anni di “credere obbedire combattere”, senta il bisogno di scrivere (nel senso alfabetico del termine) un libro che incarni i suoi valori, che lo renda fiero della sua pochezza, a me non sembra nulla di nuovo né di pericoloso.
Mi colpisce di più il fatto che la reazione indignata della comunità dei sapienti lo faccia diventare un caso letterario: questo, sì, mi sembra pericoloso perché in fin dei conti è mettere al rogo una parte di noi, proiettata su un personaggio di terz’ordine che grazie alla nostra fermezza venderà sicuramente di più.
Mi viene in mente un’immagine dal film I due colonnelli, in cui il celebre Totò risponde al colonnello della Gestapo con un sonoro pernacchio. Inseguendo questo esempio se fossi un libraio non mi rifiuterei di vendere il libro del Generale, lo metterei nella sezione fantascienza, oppure comicità.
già pubblicato su @fuoritestata