Può un algoritmo arrivare a creare un rapporto profondo ed emozionale? Forse è solo una questione di tempo
Sono una counselor libera professionista: posso forse, al giorno d’oggi, fare a meno di un profilo Instagram? Nonostante il mio animo riservato, ci provo e ne apro uno. Tuttavia fin da subito mi sento inadeguata.
Mi chiedo: io, che per lavoro costruisco relazioni di intimità e fiducia, come posso lavorare nel salotto del gossip, dell’amicizia catturata con un click, del commento istantaneo, dei cuoricini e dei pollici alti?
Insomma: è possibile su Instagram creare relazioni intime, curate, “calde”, quelle che piacciono a me?
Mi viene allora in mente una frase di Brené Brown che mi può aiutare: “Forse le storie sono semplicemente dei dati con un’anima”. Ragiono: Instagram non è, dopotutto, ilsalotto delle storie in questi tempi moderni?
E se le storie hanno un’anima, allora posso provare a relazionarmi con quell’anima, posso andare oltre l’apparenza.
Così inizio ad utilizzare Instagram come un romanzo sul comodino. Leggo e osservo storie. Mi immedesimo nella vita di mamme freelancer, di cuoche per passione, di viaggiatrici ribelli.
Incuriosita da volti felici, riflessioni intense e frasi mozzafiato, passo poi alla fase due: mi lancio nelle prime interazioni.
Creo un freebie (una sorta di opuscolo digitale) sul cambiamento; lancio una challengesul dare e ricevere feedback; faccio molte domande: voglio conoscere il mondo nascosto dietro ai miseri 200 profili che mi seguono.
Scopro, così, voglia di creare connessioni, di sentirsi parte di qualcosa, di toccare umanità.
Anzi, mi correggo: non toccare umanità, ma sfiorare umanità, perché la sensazione è quella di essere sfiorata da tante vampate di calore: sono profumate, piacevoli, quasi troppo calde a volte. Vampate che, tuttavia, svaniscono dopo solo qualche secondo.
Ed arrivo al nocciolo della mia esperienza.
Dietro a profili più o meno naturali ed infiocchettati ci sono persone che cercano una relazione con l’altro; una relazione che tocchi emozioni, non solo informazioni. Si pensi solo al fatto che si condividano foto: questo è uno strumento che fa da ponte tra razionale ed emotivo, tra mente e cuore. Instagram muove, inevitabilmente, emozioni.
Esiste tuttavia un altro elemento da considerare: il tempo.
Più interagisci più l’algoritmo di Instagram ti considera importante. Per iniziare a contare qualcosa, però, devi perlomeno superare i 500 followers. Questo vuol dire conoscere un gruppetto di amici composto da ben più di qualche centinaio di persone. Secondo Dunbar, antropologo contemporaneo, ciò è impossibile; egli, infatti, in un suo celebre studio ha fissato a 150 il limite cognitivo teorico di persone con cui un individuo è in grado di mantenere relazioni sociali stabili.
Ecco che, nel mio goffo tentativo di creare relazioni su Instagram, mi ritrovo a rispondere a commenti che toccano corde intime, avendo però saltato l’imprescindibile tempo dedicato alla conoscenza della persona. Come posso passare da comunicare ad un “target” a rispondere ad un individuo, se non investendo tempo dedicato? Dove trovo il tempo per tutti? Ma, soprattutto, l’altro, vuole veramente investire tempo?
Mi sento tirata: la voglia di creare relazioni calde e il potenziale comunicativo di questo social network da una parte; e, dall’altra, la netta sensazione che si saltino passaggi relazionali fondamentali e non ci sia tempo per l’attesa, per il silenzio, per l’attenzione dedicata. Elementi, questi ultimi, che stanno alla base di una comunicazione empatica e che, se mancano, ci espongono a interazioni intime non supportate da fiducia: siamo disposti a correre questo rischio?
Non arrivo ad una soluzione. Voglio, tuttavia, fissare una riflessione: l’anima di cui parla Brené Brown su questo social c’è; abbiamo solo bisogno di saper scegliere: quando costruire relazioni calde e quando, invece, avere la delicatezza di lasciarle sul piano informativo e più superficiale. La discriminante è il tempo perché, come diceva Aristotele, non c’è amicizia salda senza fiducia e non c’è fiducia senza far passare un certo tempo.
già pubblicato su @fuoritestata.it