Nella mia vita professionale sono spessa arrivata ad un bivio: mollare tutto e cambiare o restare provando ad esprimermi nel contesto esistente?
Ampliamo a tutti noi. Muoverci o restare fermi?
Vi racconto una storia. Il protagonista è Marco Carrera, il personaggio principale dell’ultimo libro di Sandro Veronesi, “Il Colibrì”, vincitore del premio Strega 2020.
In un mondo in cui chi si muove è coraggioso e chi sta fermo è pavido c’è ancora chi, come Marco Carrera, mette tutta la sua energia nello stare fermo. Lo chiamavano il Colibrì: 70 battiti di ali al secondo per restare dove già è, per fermare il tempo e, a volte, risalirlo, volando all’indietro.
Questa caratteristica è per Marco sia una risorsa che una trappola. È sia cura che veleno per il suo futuro.
Restare fermo per Marco vuole dire sapere chi è, da dove arriva, quali sono i suoi punti di riferimento ed essere estremo nel perseverare quei comportamenti che vogliono confermare tutto questo. L’ostinazione di Marco si porta dietro un senso di struggimento malinconico quando la vita non conferma i suoi punti fermi, struggimento che non lo abbatte però, perché solide sono le convinzioni di fondo. Restare fermo è un atto di cura per il futuro perché lo aiuta a resistere agli scossoni e ai fallimenti, rimanendo saldo e non spezzandosi; lo aiuta a vivere il brutto e a godersi il bello della vita, pensando a ciò che è e non a ciò che può diventare.
Restare fermo è, allo stesso tempo, anche veleno per il futuro di Marco. Evitare il cambiamento vuol dire sottrarsi alle leggi e alle decisioni degli altri che, naturalmente, evolvono e si muovono. Succede che Marco rimane solo nella sua Firenze. Lascia andare Luisa, la sua amata, che, a Parigi, si muove di casa in casa, di progetto in progetto sempre pronta a giustificare il nuovo a svantaggio del vecchio, come un leone che, affamato, aggredisce la vita. Tenta di mantenere il legame con il fratello che è fuggito in America per sottrarsi ad un passato scomodo che non ha mai voluto affrontare, ma non si accorge che quel fratello ora parla inglese e beve Coca Cola per pranzo. Il suo star fermo lo ha lasciato solo.
Insomma: ci conviene restare fermi come il Colibrì o muoverci e correre come il leone?
Per rispondere a questa domanda chiamo in aiuto i grandi filosofi dell’antichità
È in corso un’affascinante dialettica.
Eraclito dice: “Ehi, sveglia, tutto cambia! La legge che governa l’accadere delle cose è il cambiamento. Non possiamo non cambiare, non vorrai mica restare indietro? Qual è il tuo prossimo scenario di vita?”
Parmenide risponde: “Stai sereno, il cambiamento è apparenza, il vero essere è immutabile e sempre uguale a sé stesso. Non ti muovere, tu sei e sarai per sempre così. Piuttosto impegnati a realizzare quell’essere.
Democrito, vecchio volpone, risolve la questione inventando gli atomi: “E se aveste ragione entrambi? Noi siamo fatti di atomi, il singolo atomo in sé è sempre uguale a se stesso e non cambia, ciò che cambia è come si unisce o disunisce agli altri atomi. Il margine di cambiamento lo dobbiamo cercare nell’incontro con l’altro, che sia una persona o un’altra parte di noi”.
Come poter trasportare questa antica lezione filosofica nella nostra vita lavorativa? Bisogna cercare il cambiamento continuo impegnandosi a guardare sempre oltre o provare a stare fermi e coltivare con perseveranza ciò che esiste?
Entrambe le cose. Ahimè, doppio lavoro.
Abbiate costante cura di quelle caratteristiche che vi identificano, che sono la vostra essenza, lasciatevi guidare da questi elementi (che poi sono valori, convinzioni, passioni, ma anche debolezze e paure). Ricercate il nuovo nell’incontro con colleghi, professionisti, amici, ma anche nell’integrare vostre competenze e vostre passioni per far nascere qualcosa di unico (chissà che un giorno riuscirò a fare counseling in bicicletta mentre sorseggio vino bianco, mangio tartine e ascolto una favola?).
In fondo, spesso, ciò che ci sembra una scelta tra alternative, può diventare una strategia integrata.