Chiamiamo carabinieri, giudici, insegnanti o psichiatri perché non sappiamo o non vogliamo più assumere i panni scomodi del padre o della madre guastafeste
«Quando i padri prendono l’abitudine di concedere via libera ai figli […], oppure quando i figli presumono di essere uguali ai padri, non li temono più, non si curano di ciò che dicono e non sopportano che parlino […], quando, così stando le cose, anche i maestri tremano dinnanzi agli allievi e preferiscono adularli anziché guidarli con mano ferma sulla retta via […].
Questi giovani finiscono per tenere in spregio le leggi, dato che non tollerano più autorità alcuna a loro superiore.
In questo caso, in tutta allegria, inizia la tirannide»
(Platone)
… Ma Platone … quel Platone?, quello della Repubblica?
(Una storia vera)
Il sabato e la domenica, papà e mamma vanno in campagna per il week end e lasciano la casa al figlio and friends. Al ritorno capita spesso di sentire in casa uno strano afrore di tabacco “non convenzionale”. Allora tra loro ne parlano e poi concludono: «Beh, almeno non si fa le canne sotto i ponti o in qualche luogo pericoloso, almeno non si mette in guai peggiori… Poi in fondo le chiamano droghe leggere proprio perché non fanno così male… Poi con tutto quello che si respira…»
Basta rileggere alcuni passaggi di Platone – sì, quello – e ci rendiamo conto che, per dirla con Qoelet, non c’è niente di nuovo sotto il sole.
A mio avviso, come in tutti gli upgrade che si rispettino, di generazione in generazione tendiamo a presentare cose vecchie con il vestito nuovo, a giocare sulla punteggiatura, a spostare le priorità, fino addirittura al rovesciamento dei ruoli.
Mi chiedo, come forse molti di noi si chiedono, per quale motivo e in cosa consista questo abbandono di posizione del padre, o di chi ne esercita le funzioni; come mai sia così complicato evitare di adeguarsi alla pericolosa abitudine di “concedere via libera ai figli”.
Ho l’impressione che tutto giri intorno a un’eccessiva fiducia nella dialettica, nel ragionamento, nella convinzione che chi proibisce debba convincere o addirittura conquistare il consenso sereno di chi vorrebbe violare la norma, “farla fuori dal vaso”.
In questi anni di dialoghi infiniti, di genitori comprensivi, alla fine
ci siamo convinti che per essere amati non dobbiamo contraddire, che essere intelligenti vuol dire cercare sempre di comprendere, costruire relazioni folli che pretendono di colmare il gap generazionale con sorrisi e touch screen, scambiando l’empatia con l’identificazione.
Ecco allora che gradualmente, con le rughe e gli odori dell’essere adulti abbiamo dequalificato anche la diversità, il non capire, l’essere indietro, fuori tempo, l’essere ottusi.
Abbiamo delocalizzato la funzione paterna, il limite, il dovere, il contenimento.
Invece di indossare i panni doverosi, scomodi e coraggiosi del guastafeste, di assumerci la responsabilità di essere ottusi e fuori tempo, di dire «no perché no!», chiamiamo Carabinieri, insegnanti, giudici, psichiatri, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Non alludo solo alla drammaticità degli ultimi fatti di cronaca ma anche alla palpabile fragilità di quelli che ora chiamiamo i millenials, strani personaggi, troppo cagionevoli, incapaci di sopravvivere anche a un happy hour se si scarica il cellulare.
Si potrà dire che questo appello all’intransigenza non è nuovo e allo stesso tempo che è facile criticare senza proporre come uscire dal pantano di melassa nel quale siamo caduti.
Ebbene no!
La soluzione mi sento di darla stavolta: dobbiamo creare percorsi di decontaminazione narcisistica per genitori che tornino a ragionare poco, a parlare ancora meno, a essere stolidi ed ottusi, incapaci di empatia e capaci di dire tanti no.
Forse potremmo addirittura scoprire che per i genitori come per i figli la libertà esiste solo in un contesto in cui ci sono ostacoli e proibizioni.
®️già pubblicato su: www.fuoritestata.it