Piano B, la forza del saper cambiare strada

Fotografia orizzontale, in formato 16:9, che ritrae al centro la parte inferiore di un tronco d'albero che si divede in due grossi tronchi (più grosso quello a destra di quello a sinistra); il tronco principale, 40 centimetri al massimo sopra il terreno, ha inglobato parzialmente, ma parecchio, un segmento largo un paio di metri di un tubo di metallo dipinto di bianco, leggermente arrugginito alle estremità, modificando inoltre la propria forma: il tronco infatti, nel punto in cui ha inglobato il tubo, è molto più largo. L'albero cresce su un terreno argilloso, cosparso in molti punti da mucchi di foglie secche, di colore beige, e da qualche ciuffo di erba verde; il terreno si trova davanti a una stradina sterrata coperta di ghiaietta di colore grigio chiaro; dietro la strada c'è un campo di erba e fiori lilla; dietro il campo alcune case basse, di due piani; dietro le case, in lontananza, le ampie pendici di una collina, di colore bluastro a causa della foschia, che le rende anche un po' sfocate.

Abituati a pensare che essere forti significhi andare sempre dritti verso l’obiettivo, perdiamo di vista l’importanza del saper scegliere quel che è bene per noi, in ogni singolo momento

“O la va o la spacca”, “Mi spezzo ma non mi piego”: quante volte sentiamo affermazioni del genere, che spesso ricevono il plauso generale o, in ogni caso, un certo grado di ammirazione. Nella vita di tutti i giorni, come nella politica, sembra che percorrere linee rette, che non ammettono deviazioni, sia sinonimo di vite risolute, potenti, sicure, invidiabili.

Così succede che spesso ai nostri cuccioli trasmettiamo questa sicumera: li vogliamo imbattibili, senza curve, senza inutili perdite di tempo, li vogliamo dritti alla meta. Li immaginiamo coerenti, con idee certe in testa, con un unico piano, come il divino Klingsor, che possedeva cinque vite ma le giocava tutte insieme in una volta; d’altra parte gli eroi sono tutti giovani e belli e sicuri, camminano con passo certo, non retrocedono, non deviano e, nel caso la strada presenti ostacoli che non si possono superare, allora preferiscono farsi male, rompersi, piuttosto morire che cambiare direzione (“Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte”).

Poi il tempo passa, le strade bloccate aumentano, i sogni si infrangono; come direbbe il poeta: si passa dal cupo tumulto al dolce singulto (Pascoli, La mia sera), e allora spesso ci si trova feriti, attoniti, stanchi e scorati.

Quante persone in questi anni hanno bussato alla mia porta, quanta fatica, smarrimento, dolore. Il progetto di tutta una vita infranto sugli scogli del tempo, vano il tentativo di ricostruire, fallimentare il provare a ricominciare, a ripercorrere con più attenzione la propria strada.

“E io a che cosa servo? In che modo posso essere utile? In cosa consiste il mio mestiere?”. A volte cerco di spiegare che non sono il padrone di casa, non sono l’eroe, sono il maggiordomo, lo scudiero; a prima vista il mio interlocutore pensa che voglia ostentare modestia ma in realtà io non lo sono affatto, credo solamente che il mio mestiere non sia quello di decidere cosa mangiare o contro chi o cosa combattere. Custodire le armi, apparecchiare la tavola, fare in modo che il vero eroe vada in battaglia preparato; questo è il mio mestiere e poi la parte più importante, il piano B.

Penso che l’operazione più importante sia riuscire a scardinare la logica dell’obiettivo unico, quella in cui non c’è via di scampo e occorre per forza arrivare in fondo. Nella mia esperienza, la vita di chi non ha un piano alternativo, gradualmente diventa una vita impercorribile, fatta di gabbie e di muri. Il piano B è tutto: è fantasia, mondo possibile, creatività; il mondo alternativo è dunque la salvezza rispetto a una visione della realtà che non ammette errori, fatiche.

D’altra parte, a costo di sembrare empio, in fin dei conti anche il paradiso è un piano B.

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