La tendenza distruttiva, che può riguardare il mondo esterno o il mondo interno, è presente in ciascuno, più o meno consapevolmente, che ci piaccia o no. E va riconosciuta, tenuta d’occhio, ascoltata e non alimentata
Germania, giorni nostri. Siamo in un liceo ed è la settimana dedicata all’approfondimento di un tema: il professor Rainer provoca i suoi studenti, chiedendo “un altro nazismo è possibile?”. La classe reagisce, il confronto si accende e tutto sommato, no, non sembra possibile: “Conosciamo le conseguenze” dice uno dei ragazzi. Una riflessione apparentemente innocua innesca un esperimento: in 7 giorni, il professore, come un leader sovrano, conduce i suoi studenti, unendoli sotto le stesse regole, gli stessi slogan, la stessa divisa, lo stesso saluto e lo stesso simbolo, un’onda stampata sulle camicie bianche di ciascuno. Un nuovo sorprendente totalitarismo cresce, proprio come un’onda, nel giro di poche ore, fino ad un drammatico epilogo.
L’onda, il film del 2008 di Dannis Gansel, senza retorica e senza sconti, porta in luce le conseguenze di una esasperata separazione noi/loro, mettendo il dito tra le pieghe della banalità del male, che, senza un pensiero critico, può agire ottuso e tragicamente solido.
Ma, oltre tutto questo, quel che muove la mia riflessione è quel tragico epilogo: Tim, uno degli studenti, diviene segretamente la mano armata dell’onda e le conseguenze si fanno letali, sotto gli occhi sbalorditi del professore, che a questo punto si rende conto di aver mosso e alimentato un’ingestibile massa d’acqua!
Gansel, il regista, ci ricorda implacabile che
l’odio appartiene a ciascuno di noi e che può essere risvegliato e manipolato, partendo da ragioni condivisibili e solo in apparenza inoffensive.
La tendenza distruttiva, che può riguardare il mondo esterno o il mondo interno, è presente in ciascuno, più o meno consapevolmente, che ci piaccia o no. E va riconosciuta, tenuta d’occhio, ascoltata e non alimentata.
A volte, siamo proprio noi, in prima persona, a darle da mangiare, quando facciamo incetta di tutte quelle situazioni che confermano tanto le ragioni dell’odio, dell’inimicizia, dell’intolleranza, quanto quelle legate alla disistima di sé. Questo accade quando guardiamo il mondo da un punto di vista univoco e parziale, come succede a Tim.
Spesso, però, si attribuisce la colpa all’altro: e in effetti, il professore finisce agli arresti. Ebbene, io credo che Rainer una responsabilità l’abbia: quella di aver condotto troppo vicino al baratro e di aver maneggiato con superficialità e imperizia un potente esplosivo.
Relazioni dannose e pericolose a nostra insaputa? Può darsi. Per questo motivo, soprattutto rispetto ad alcuni ruoli (educativi, di cura ad ampio raggio, di leadership…) credo sia necessario sorvegliare le possibili strade che può percorrere l’odio, mettendo in moto la riflessione critica, attraverso, ad esempio, la formazione continua, la supervisione, la crescita personale.
L’amore, diceva Neruda, “mentre la vita ci incalza, / è semplicemente un’onda alta tra le onde”: non possiamo forse dire la medesima cosa per il suo opposto, l’odio? Occorre dunque prestare attenzione a quest’onda, affinché troppo alta e compatta non ci travolga, portandoci lontano.