Dello stralcio di questa vecchia intervista a Karl Popper colpisce il contrasto tra l’estetica, che potremmo definire vintage, e l’attualità fin scontata del messaggio: la televisione non si può nascondere, nota il filosofo, dietro la facciata di una presunta oggettività e spacciare le notizie che veicola come semplice informazione. Non c’è informazione de-situata. Non c’è comunicazione senza un punto di vista. Non c’è notizia senza una scelta a monte dei contenuti da trasmettere. La televisione ha lasciato almeno in parte la scena ad altri mezzi oggi, ma la tesi di Popper non ha perso verità. Anzi, a nostro avviso, la pandemia ha rappresentato una cartina di tornasole fedelissima del potere che hanno i media di plasmare opinioni (anche attraverso i volti ormai diventati iconici di alcuni virologi), muovere consensi, creare polarizzazioni, orientare decisioni. Nel filmato, la distinzione su cui si concentra l’intervistatrice è tra informare ed educare. C’è un punto essenziale però in cui il termine educare viene tradotto da Popper con “tentativo di imporre un punto di vista”. Ecco, siamo consapevoli che la vecchia distinzione giornalistica tra fatti e opinioni forse ha più di una crepa.
2022-03-15
Bella e molto attuale l’intervista con Popper (anche se chiunque abbia vissuto nel mondo dei media ha sempre saputo che “informazione” è distinguibile solo fino a un certo punto da “formazione”, ma questo non toglie niente al fascino della compostezza di Popper).Tra un po’ riscopriremo che anche le più astratte teorizzazioni degli accademici presuppongono un punto di vista. Abbiamo appena finito di riscoprire che nonostante (nonostante?) i trent’anni della globalizzazione felice non è scomparsa la realpolitik tra potenze sovrane, se lo avessimo riscoperto un po’ prima, magari dando minimamente ascolto anche a quel brutto ceffo di Donald Trump, il risveglio sarebbe stato meno brusco di quello che ci ha riservato l’entrata delle truppe russe (missili compresi) nel territorio dell’Ucràina.