Omaggio al grande Gastel che sapeva fotografarti dentro

Come altri maestri dell’immagine, ha fatto della relazione una professione, come un raffinato psicologo

L’addio a Giovanni Gastel, uno dei più grandi fotografi italiani del nostro tempo, è per me occasione di lasciarmi rapire da una sua intervista su Art Tribune. Oltre alla sua capacità di coinvolgere e all’eleganza della sua narrazione, mi accorgo che le cose che dice e racconta potrebbe dirle, quasi allo stesso modo, chi della relazione ha fatto una professione, lo psicologo, lo psicoterapeuta, il counselor, l’insegnante.

Prima legge fondamentale per diventare un artista: “Lavorate sulla vostra differenza, il vostro lavoro deve avere qualcosa di voi. Scegliete una parola che vi rappresenti e su quella fondate la vostra estetica”, dichiara insistentemente Gastel. E aggiunge che certo bisogna avere una volontà “spietata” di essere chi si è e non chi si vorrebbe essere ed il coraggio di vedersi veramente. 

Nella relazione d’aiuto vale la stessa regola: per poter stare con l’altro, devo prima incontrare me stesso, conoscere le mie parti, dialogare con esse. Questo è il primo passo per evitare atteggiamenti di circostanza, mostrando una facciata che suoni falsa, inautentica.

Se è vero, poi, che ciascuno è unico e che nessuna storia è uguale ad un’altra, questo vale anche per il terapeuta/lo psicologo/l’insegnante e per la loro personalissima impronta: quest’ultima renderà diverso un intervento da un altro, un percorso di crescita con me da quello con un collega. 

Gastel scriveva poesie e in una di queste dice: “Approdato in questa epoca / come un naufrago / in terra straniera, / ho misurato il territorio / e ho appreso la lingua dei nativi”. In questi pochi versi, la mia mente ha recuperato le parole di un altro fotografo, Steve McCurry, che racconta il suo viaggio in India: “Ti metti in viaggio, prendi appunti, ti guardi intorno; all’inizio non vedi niente e cominci a preoccuparti… ma col passare del tempo, le cose cominciano a rivelarsi. Man mano che il viaggio prosegue impari a conoscere i ritmi di un luogo e all’improvviso vedi cose che prima non vedevi”. (Le storie dietro le fotografie, Steve McCurry, Electa edizioni). 

Non so ai colleghi, ma a me capita la stessa cosa: mi siedo davanti ad una persona, in studio e un’inquietudine mi prende, a volte, durante i primi incontri. Saprò esserti utile? Cosa mi stai chiedendo? Comprendo il tuo mondo senza sovrapporlo al mio? In genere, è sufficiente ripensare alle parole del fotografo, a quell’imparare “a conoscere i ritmi di un luogo” – che nel mio caso è la persona seduta davanti a me – e mi acquieto, in attesa che inizi a rivelarsi, a mostrarsi. E allora accade davvero ciò che dice Edward Weston, fotografo: “la fotografia non è un’interpretazione della realtà, ma una rivelazione, uno squarcio in una cortina di fumo” (Edward Weston, Edizioni Taschen).

Tornando a Gastel, ascolto queste parole “Aderisco al presente: adesso sono con te e l’unica realtà sei tu”. Solo da questa particolare relazione in cui siamo io e te, nel qui-e-ora direbbero i professionisti della relazione di aiuto, nasce l’incontro, la cui fondamentale caratteristica è la centralità della persona che chiede aiuto.

E, a proposito dell’empatia, se pensiamo che in fotografia non occorra, non conosciamo queste parole di Sebastiao Salgado “Mi sono accovacciato e ho camminato alla sua stessa altezza, con le mani e le ginocchia per terra. Da quel momento la tartaruga non è più fuggita…Così ho potuto iniziare a fotografarla. Mi ci è voluta una giornata intera per avvicinarla. Tutta una giornata per farle capire che rispettavo il suo territorio” (cercatela la tartaruga di Salgado: vi sorprenderà). 

Avvicinare l’altro è un’impresa paziente, occorre tempo, ascolto, cura. Comprendere il suo mondo, il suo territorio, sentirlo senza invaderlo, rimanendo nei propri panni, è forse l’operazione più difficile. Eppure grazie a questa dimensione, è possibile vedere tutta la bellezza dell’altro, anche nel suo dolore, nella sua sofferenza e, seduta dopo seduta, aiutarlo a riscoprirla lui stesso. 

Sempre Salgado: Quando fotografo io respiro la fatica dell’uomo, i suoi ritmi, le sue angosce. Ma anche le sue speranze. A me pare che anche se l’obiettivo dell’artista e quello del professionista della relazione di aiuto sono necessariamente diversi, l’esigenza e il modo di entrare in contatto con l’altro sono  invece profondamente simili. 

Forse la fotografia, questa “austera e folgorante poesia del vero” (Ansel Adams), ha molto da insegnarci?

Un’ultima osservazione, pensando a loro, ai soggetti ritratti dal fotografo, ossia, per restare all’interno della corrispondenza che propongo, pensando ai nostri clienti, pazienti, allievi. 

Gastel, dice di loro: “La bellezza è fatta di difetti”. Questa non la commento. Parla da sola.

Già pubblicato su Fuoritestata

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